Gianluca Vialli è morto a 58 anni. La famiglia: «Vivrà per sempre nei nostri cuori»

Scritto da il 6 Gennaio 2023

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore aveva 58 anni, da tempo era in cura per un tumore al pancreas. Lascia la moglie Cathryn e le due figlie Sofia e Olivia

È morto Gianluca Vialli: l’ex calciatore, campione e simbolo di Sampdoria, Juventus, Chelsea e della Nazionale italiana, aveva 58 anni. Da tempo era in cura per un tumore al pancreas. Il 14 dicembre scorso aveva annunciato il ritiro dalla Nazionale, in cui ricopriva l’incarico di capo della delegazione. «Circondato dalla sua famiglia è spirato la notte scorsa dopo 5 anni di malattia affrontata con coraggio e dignità», ha scritto la sua famiglia — la moglie Cathryn, le due figlie Olivia e Sofia — in una nota. «Ringraziamo i tanti che l’hanno sostenuto negli anni con il loro affetto. Il suo ricordo e il suo esempio vivranno per sempre nei nostri cuori».

 

A Reggio Emilia, il 15 novembre 2020, durante la terza ondata della pandemia, l’Italia si gioca la Nations con la Polonia e deve fare gol. Il c.t. Mancini è a casa, positivo al Covid. Vialli è accanto alla panchina.

Un pallone esce, lui non lo calcia ma lo prende in mano e lo bacia.

Quel gesto del vecchio marine, in un attimo mostra agli azzurri un approdo sicuro e arriva dritto al cuore: perché dentro quel bacio c’è la passione per la maglia azzurra, l’affetto per la palla, vecchia amica di sempre, la voglia di stupire e di lottare in un momento complicato, dentro e soprattutto fuori dal campo.

Ci sono tanti modi per ricordare il capitano coraggioso Gianluca Vialli, ma questa immagine scalda l’anima e nel suo piccolo racchiude un po’ tutto: la fede cieca nel pallone e nella vita, la lotta alla malattia, il suo istinto di capobranco e la sua sensibilità, l’energia che fino agli ultimi giorni è sembrata inesauribile e la nostalgia per quello che sapeva di poter perdere, di lì a poco.

Una bufera di emozioni, che Luca ha imparato a governare negli ultimi anni in pubblico da capodelegazione azzurro. Debuttò nel novembre 2019, già nel pieno della lotta al tumore. Il suo ruolo era quello di saper trovare le parole giuste per accogliere i nuovi arrivati e motivare il gruppo: «Molti di voi sono come me, appassionati di mantra — raccontava ai giocatori — e allora vi dico che un viaggio di mille chilometri inizia con un singolo passo».

Chissà quante volte se l’è ripetuto nel suo cammino con la malattia. Senza retorica, ma con la profondità di chi ha imparato ad apprezzare il viaggio, sempre con il vento in faccia.

Il ragazzo ricco di Cremona, negli anni 80 coi suoi riccioli e i suoi enormi polpacci al vento, aveva la fisicità esuberante di quegli anni spensierati, era lo Stradivialli dipinto da Brera.

Tra 1987 e il 1990, tra i gol alla Svezia che ci riportarono all’Europeo e l’esplosione di Schillaci nelle Notti Magiche, si confermò la vera locomotiva calcistica, una forza della natura. Poi lo scudetto del 91, il culmine della Sampd’oro con Mancini gemello del gol; la finale di Coppa Campioni persa con il Barcellona nel 1992, l’addio al presidente Mantovani.

Quindi la seconda vita, juventina: i capelli rasati, il rapporto non facile con Baggio, il passaggio da Trap a Lippi, i muscoli del capitano che alzano al cielo di Roma la Champions con la Juve nel 1996.

Infine gli anni da pioniere al Chelsea, giocatore e tecnico: Londra era diventata la sua città, lì si era costruito una bellissima famiglia. Vialli giocatore era ingombrante, scomodo. Nell’armadietto alla Juve aveva la foto del c.t. Sacchi «nemico» del momento.

A pensarci, fa sorridere e piangere al tempo stesso, per l’addio di Luca di poche settimane fa all’Italia: «Al termine di una lunga e difficoltosa trattativa con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri. L’obiettivo è utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia in modo da essere in grado, al più presto, di affrontare nuove avventure e condividerle con voi».

Il suo fisico asciutto era diventato ancora una volta un simbolo, ma di resistenza. Gianluca all’Europeo vinto era il solito trascinatore, cantava Battisti a squarcia gola («Chissà che sarà di noi»), scherzava, incassava dubbi e confidenze, dava consigli. E speranza: «Le persone vedono in me un uomo forte, ma anche fragile. Penso che qualcuno possa riconoscersi in me, coi miei difetti, le tante paure. Con il tumore non sto facendo una battaglia, perché lui è molto più forte di me. È un compagno di viaggio indesiderato, devo andare avanti a testa bassa, senza mollare mai, sperando che si stanchi e mi lasci vivere ancora tanti anni».

Non è andata così. Ma ogni volta che qualcuno darà un bacio a un pallone, penseremo a Luca.

Capitano per sempre.


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