Jovanotti, il Don Chisciotte pop in concerto al Forum di Milano – RECENSIONE

Scritto da il 13 Febbraio 2018

Accade durante “Penso positivo”. Sul grande schermo di 24 x 8 metri passa un montaggio frenetico d’immagini di anchorman italiani, per lo più conduttori di telegiornali. Al posto di dare le solite notizie ansiogene e consegnarci la dose quotidiana di malumore, recitano e cantano le parole della canzone. Il nuovo spettacolo di Jovanotti che ha debuttato ieri sera a Milano, prima di dodici date al Forum di Assago, è un “tentativo folle, alla Don Chisciotte, di opporsi alla cupezza” dei tempi in cui viviamo. È anche una macchina perfettamente oliata, con una band formata da ottimi musicisti, una messa in scena pulita e spettacolare. È meno impostato rispetto agli show precedenti della pop star e perfettamente in linea con l’idea, che va molto nelle nelle produzioni pop internazionali, di ripensare gli spazi che ospitano le esibizioni. “Questo show” dice Lorenzo “è il racconto di come io vedo le cose, è la fantasia e la forza dell’immaginazione, è il potere della festa. È la necessità di celebrare e sentirsi vivi”.

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(foto Michele Lugaresi)

È un concerto di ragazze magiche, grande energia e romanticismo, dichiarazioni di libertà e una fiducia quasi naïf nel bene. Ci voleva Don Chisciotte a rappresentare questi slanci ideali un po’ poetici e un po’ cialtroneschi. Quando Jovanotti ha scoperto che il personaggio di Miguel de Cervantes ha più o meno la sua età ha deciso di eleggerlo a spirito guida di questa “festa che celebra la vita e la fantasia”. E così un Don Chisciotte/Jovanotti appare nel cartoon di Manuele Fior che apre il concerto, accompagnato dalle parole dello spettacolo-monologo di Corrado D’Elia sul cavaliere di Cervantes, che Jovanotti ha voluto fossero recitate in lingua spagnola da Miguel Bosé, una dedica agli illusi, ai pazzi per amore e ai visionari “che si ostinano a credere nel sentimento puro”. Don Chisciotte, dice Jovanotti, “rappresenta la volontà di essere vivi trasfigurando la realtà. In questo spettacolo mi sento profondamente Don Chisciotte. È uno show oltraggioso nel suo essere colorato e divertente”. E così mette in scena più volte il personaggio, apparendo sullo schermo durante “Gli immortali” con indosso un costume che somiglia a quello di Jean Rochefort/Don Chisciotte in “Lost in La Mancha”. “Mi hanno detto che è stato indossato da Gassman a teatro”, dice Jovanotti.

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(foto Michele Lugaresi)

Il palasport è trasformato in un salone delle feste con tredici grandi lampadari di tre metri e mezzo di diametro che pendono sulle teste degli spettatori, si alzano e abbassano, funzionano da impianti luce ed elementi scenici, con lampadine e laser e veri cristalli (l’idea iniziale del cantante era usare un solo lampadario di 15 metri di diametro). E poi una passerella s’allunga in platea per 17 metri, le luci sono disegnate da Paul Normandale e un grande schermo sullo sfondo trasmette visuals, immagini live girate da tre camere da cinema e finte riprese del pubblico e dei musicisti, preconfezionate e mischiate a quelle reali. E così Lorenzo appare in platea a cantare a squarciagola “Ragazzo fortunato”, mentre il vero Jovanotti la canta davvero sul palco. Sono piccoli interessanti sfasamenti, come quando ci si accorge che i movimenti dei musicisti sullo schermo non corrispondono a quelli sul palco. L’idea è che ogni elemento diventi prolungamento immaginifico di quel che accade in scena e che il concerto sia un’esperienza “immersiva”, un mondo dove il reale è trasfigurato in una dimensione fiabesca e digitale.

Si comincia con “Ti porto via con me” e forse non è un caso, perché il titolo suona come la promessa di un viaggio avventuroso e pieno di cose. Lo spettacolo lo fa Jovanotti, i musicisti stanno sotto lo schermo, concentrati sulla musica. “La musica la fanno i musicisti, suonando. Per me è diventata una fede, un’ossessione” dice Lorenzo. Si va dal pop all’hip-hop passando per dancehall, techno, canzone d’autore fatta come la fa Jovanotti, un’arte povera, a volte approssimativa, ma evidentemente efficace. “Dentro a questo concerto ci sono Dolly Parton e i Prodigy”, dice lui. Quel che stupisce, e piace e non piace, è l’andamento strano della scaletta, che regala picchi di energia per poi spezzare il ritmo con vecchie e nuove ballate. Ma del resto, come dice Jovanotti dal palco, “fosse per me scriverei solo canzoni romantiche”. Il calore del pubblico è fuori scala, i cori sono impressionanti. Siamo al Forum, ma pare di stare a San Siro tant’è che Jovanotti, che ha fatto le prove a Rimini, dice che “dopo essere stato in un palazzetto vuoto uno esce fuori e… porca troia”.

Il valore della band emerge nitidamente nei pezzi più dinamici, da “Penso positivo” a “L’ombelico del mondo”. Prima di “Sbagliato” Jovanotti improvvisa e dice che il motore dell’evoluzione sono le cose giuste nel momento sbagliato oppure sbagliate nel momento giusto e che “il razzismo è una cosa sbagliata nel momento sbagliato. La complessità in cui siamo immersi va compresa”, non spiegata attraverso categorie semplici. “È un tipo di banalità necessaria”, dice a fine concerto. “Ma se faccio musica è perché sono cresciuto in un mondo aperto”. È uno dei pochi momenti in cui la realtà cruda entra nello show. L’altro è durante “In Italia”, i cui visuals raccontano il nostro paese attraverso la lente deformante di internet.

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(foto Michele Lugaresi)

Accompagnato da Saturnino (basso), Riccardo Onori (chitarra), Leo Di Angilla (percussioni), Cristian Noochie Rigano (tastiere, sequenze), Franco Santarnecchi (pianoforte, fisarmonica), Gareth Brown (batteria), con la nuova sezione fiati formata da Jordan McLean (tromba), Matthew Bauder (sax), Gianluca Petrella (trombone) e altre 110 persone con materiali che girano l’Italia su 27 camion, Jovanotti ha scelto di aprire il tour a Milano, per la prima volta nella sua vita, perché qui esattamente trent’anni fa debuttò sul palco del Rolling Stone. Erano i tempi di “Gimme five” e un concerto di Jovanotti era un’altra cosa. Somigliava vagamente al dj set che a un certo punto il cantante mette in scena al Forum. La passerella su cui è andato avanti e indietro fino a quel momento si alza sopra le teste del pubblico in platea e diventa un ponte su cui Jovanotti continua a cantare – qualcosa di simile a quel che si è visto nello show di Lady Gaga. Lorenzo viene trasportato su una piccola postazione da dj dove canta sulle basi di vecchi successi, per poi tornare sul palco accompagnato dalla voce di Luciano Pavarotti nella “Traviata”.

È un concerto piuttosto lungo, 28 canzoni per due ore e mezza, e contiene quasi solo hit, con i pezzi di “Oh, vita!” concentrati per lo più nella prima parte. È una festa con enormi ballerini colorati gonfiabili che popolano la platea durante “L’ombelico del mondo” e pioggia di coriandoli per “Il più grande spettacolo dopo il big bang”. Prima dei bis arriva un’altra citazione di Cervantes sull’idea di “avventurare la vita” per rincorrere la libertà. E arriva infine “Viva la libertà” con tutti i musicisti avanti, in veste unplugged. Jovanotti racconta lo show come la visione di un mondo che non si ferma mai, “complesso, confuso, aperto, bollente, pulsante, strepitoso, difficile, imprevedibile dove però è sempre possibile lo scatto della fantasia che dribbla la realtà e la trasforma in un trampolino verso un nuovo slancio vitale”. È romanticismo, immaginazione ed energia.

(Claudio Todesco)

SET LIST
Ti porto via con me
Le canzoni
Penso positivo
In Italia
Oh, vita!
Sbam!
Gli immortali
Mi fido di te
Sbagliato
Baciami ancora
Chiaro di luna
Fame
Dj set: Attaccami la spina / Non mi annoio / Muoviti / Una tribù che balla / Tanto3
L’ombelico del mondo
A te
Ti sposerò
Ragazza magica
L’estate addosso
Tutto l’amore che ho
Safari
Tensione evolutiva
Sabato
Il più grande spettacolo dopo il big bang
Ciao mamma
Ragazzo fortunato
Le tasche piene di sassi
Mezzogiorno
Viva la libertà

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(foto Michele Lugaresi)


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